La cosa che mi piace di più in assoluto quando recito è divertirmi. Amo molto anche personaggi più drammatici, basti pensare a Macbeth, ma nulla mi dà soddisfazione quanto impersonare un vero e autentico imbecille. Tuttavia, quella che amo non è una follia gratuita e senza freno, ma è quella ragionata che mi attira di più; quei personaggi che tu credi essere stupidi, ma che in realtà sono più furbi di te, semplicemente ti prendono in giro due volte. Ormai sono in grado di riconoscere perfettamente ogni soggetto al colpo d’occhio: c’è il preadolescente audace, che si crede migliore di te, solo perché sei vestito in modo buffo, è il più divertente da prendere in giro, ride con te, sta al gioco, ma glielo leggi negli occhi che quando se ne va una parte di lui è morta a causa della vergogna; poi c’è il genitore timoroso, il più difficile da catturare perché ha un’arma di difesa molto temibile, il figlio. Si nasconde dietro la sua progenie e bisogna essere molto abili per aggirare il suo scudo umano e far piombare il povero malcapitato nell’imbarazzo più totale, in genere i genitori timorosi sono tutti padri, e mi basta una semplice poesia d’amore per vincere la battaglia.
Poi, ovviamente, ci sono i bambini, catturarli non è difficile, gli basta guardarmi per essere incuriositi, giocarci è facile, sono loro a trascinare te in una dimensione di fantasia e tu non devi fare altro che seguirli e indirizzarli dove vuoi, magari con uno sguardo o una semplice storia. Adoro vivere un’interazione a cosi stretto contatto con il pubblico e soprattutto amo interpretare questi personaggi che me lo permettono. Quando mi proposero di fare il monaciello ovviamente per me fu un invito a nozze e una volta visto il costume mi innamorai completamente del personaggio, in particolare di quella piccola ammaccata e fastidiosissima trombetta che è stata mia fedele compagna in ogni mia azione. Ogni volta che sono li, all’ingresso del parco, entro nel personaggio e non ne esco più. Lo esploro e lo spingo sempre più al limite, il mio monaciello si evolve e io mi evolvo con lui.
Ogni gruppo nuovo è un nuovo spettacolo sempre diverso dal precedente, sempre improvvisato in base a chi mi trovo davanti. Ricordo ancora quando ho iniziato ad approcciarmi al teatro quattro anni fa al terrore che provavo nel dover essere capace di attirare l’attenzione del pubblico su di me e di mantenere quegli sguardi vivi e attenti. Adesso è diventato tutto più naturale e chiaro, il modo in cui muoversi, il modo in cui parlare, anche solo come lanciare uno sguardo, è come la giocoleria, bisogna provare ancora e ancora, per ore, capire i movimenti e costruirci su formando una solida memoria muscolare. So perfettamente che queste parole non saranno mai sufficienti a descrivere l’intera esperienza, e non voglio neanche soffermarmi più di tanto nel rileggerle e nel curare la forma, sono parole scritte di getto e con spontaneità perché è così che mi piace affrontare il
Parco della Grancia con il monaciello, giorno per giorno, persona per persona.