È quasi ora di cominciare. Un rapido controllo per vedere se ho dimenticato qualcosa: camicia, gilet, gonna, stivali, testa e cappellino, bastone stretto nella mano destra… anche la “bambina” è al suo posto nel pancione, per ora, ha la strana abitudine di scendere troppo giù e di tanto in tanto ha bisogno di essere risistemata. Filomena Pennacchio è quasi pronta. Risalgo la scalinata e prendo posizione sul mio piccolo promontorio, la situazione è tranquilla, ho una decina di minuti prima che i visitatori comincino ad arrivare e mi concedo un po’ di tempo per rubare ciò che mi circonda. Catturo la sensazione delle suole sottili degli stivali che affondano nella terra, esploro con le mani il tronco di un albero e contemplo in lontananza, una parte di montagna e una pala eolica che la sovrasta. Un quadretto particolare, incorniciato dalle fronde degli alberi della Grancia. Osservando, mi riempio. Arrivano i primi visitatori del
Parco della Grancia, li guardo, mi guardano e il gioco comincia.
Percepisco la tensione di alcuni cuori pavidi quando mi avvicino a loro e mi concentro sui soggetti che preferisco, quelli che hanno un sorrisetto di superiorità stampato in faccia che potrebbe essere tradotto così: “Non mi lascio mica intimorire da una cosetta alta quanto una mia gamba, io!”. ( E come biasimarli?) La vita di Filomena Pennacchio scorre fuori di me e dentro di loro. Una storia affascinante, scevra di edulcorazioni, scritta da Vittoria Smaldone, che provoca reazioni sempre diverse. Stavolta sono i loro volti vivi a riempirmi. I cuori pavidi capiscono che non ho intenzione di colpirli col bastone, liberano il respiro che stavano trattenendo fin dall’inizio e pian piano assumono un colorito meno cadaverico; alcuni dei visitatori perdono l’aria di sfida e si lasciano trasportare, altri invece chiedono all’amico che mangeranno quella sera. E rubo ancora una volta ogni cambio di espressione, ogni dettaglio per far continuare quel meraviglioso scambio di energia.
Qualche occhio velato dalla commozione, l’espressione stupita sul volto di un bambina con i codini biondi, e anche le battute un po’ azzardate di qualche ragazzo.
“Combatti semb Filumè!”, mi incoraggia un uomo lanciandomi un occhiolino. Un gruppo di bambini si siede sul gradino proprio sotto di me e comincia a parlottare.
“No no, vai tu! “
“No, tu!”
Li aspetto, prima o poi si decideranno.
Alla fine fanno la conta e mi si avvicina un bambino con i capelli tirati all’indietro e le guance un po’ rosse. “Ma tu sei veramente una brigantessa? Raccontaci ancora qualcosa!”
Si siedono in cerchio e ascoltano, finché i genitori non vengono a recuperarli. Ogni tanto cerco lo sguardo del poeta, intento a scrivere o a incantare il suo pubblico. Immagino il Monaciello in lontananza, scorgo i vestiti sgargianti della Cartomante in mezzo ad un drappello di persone ansiose di farsi leggere i tarocchi.
Nel frattempo, l’odore celestiale della carne mi riempie le narici, ricordandomi che essere una brigantessa fa venire fame.
“Guarda che carina la pastorella!”, esclama un giovane indicandomi alla figlia un po’ intimorita.
Pastorella a me, Filomena Pennacchio?
Racconto, mi racconto e poi guardo il Poeta.
“Venite, venite ” dice lui con fare affabile “dopo Filomena ci si riprende solo con una bella poesia.” … Meraviglioso! Gli lancio un’occhiataccia e sorrido di nascosto…