Ieri i workshops de La Biennale – College Teatro hanno mostrato i loro studi al pubblico a conclusione dei percorsi iniziati il 31 luglio.
Stasera si replica: una maratona teatrale che inizia alle 16.00 e dura circa 6 ore alla Sala d’Armi “A” dell’Arsenale.

Noi del gruppo di Maria Grazia Cipriani, andiamo in scena portando il lavoro fatto intorno ad Amy Winehouse.
Tutti i percorsi, hanno avuto come figura di studio quella di un’artista scomparsa “prima del tempo”: ognuna con le proprie motivazioni e nel proprio modo. Artiste che hanno deciso di interrompere la carriera, oppure hanno compiuto la scelta estrema di interrompere la propria vita, o ancora che sono arrivate ad un punto-di-non-ritorno a causa di droghe ed altre sostanze, che spesso hanno portato alla morte non del tutto volontaria.
Guardando non solo a tutto il percorso del College, ma agli spettacoli del Festival della Biennale, il tema della morte è stato spesso presente. È un tema che ci riguarda fortemente, non solo perché destinati ad essa come esseri viventi, ma in particolare come “esseri artisti”. Questo nostro incenerirci continuamente per raggiungere un desiderio interno che, appunto, nasce da noi e poi diventa così grande fino a stare sopra ogni cosa. Non lo raggiungeremo mai, però lo sforzo per toccarlo passa attraverso tanti stadi di rigenerazione. Questo può avere effetti “vitali”, ed anche conseguenze che spengono ed esauriscono (forse) quel desiderio.
Pensando al lavoro fatto su Amy Winehouse e alla sua vita, probabilmente quel desiderio intimo è diventato troppo più grande di lei, le ha tolto ossigeno, l’ha sopraffatta.
Nei giorni di lavoro con la Cipriani, dove ci sono stati molti momenti di discussione sui “motivi” della vita personale e artistica di Amy, ho intuito che probabilmente il suo desiderio, di cantare, ha cercato di “assecondare” un altro desiderio: la ricerca del padre.
Come se avesse usato i testi e soprattutto la sua voce per arrivare a lui. Ed anche questo “primo” desiderio ha portato ad un altro desiderio di ricerca della figura del padre (probabilmente) in ogni uomo (non solo maschio) incontrato nella sua vita. Come se ad ogni persona incontrata avesse detto per un attimo “daddy”, soffocando poi la sua voce, fino a non sentirla più.

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