Stamattina ho fatto un giro ai giardini della Biennale, prima di andare all’Arsenale per un nuovo giorno di workshop con Antonio Latella.
Nel cammino verso i giardini, ho attraversaro il viale napoleonico, da cui si vede il mare (certo, il mare non è inusuale a Venezia). Mentre camminavo lungo il viale, ad un certo punto, mi sono fermato e ho guardato indietro.
Mi sono reso conto, in quel momento, che avevo camminato parecchio, senza rendermene conto. Avevo fatto molta strada, in breve tempo. È una cosa che credo ci capiti spesso: non rendersi conto davvero di quanta strada abbiamo percorso, fino a quando non ci giriamo a guardare alle nostre spalle.
È interessante come si proceda senza esitare, quasi come se avessimo un obiettivo da raggiungere, che in realtà non c’è, o almeno non lo sappiamo indicare, ma sentiamo di andare verso “qualcosa”. Sentiamo necessario fare quella strada.

In Sala d’Armi, con Antonio, affrontiamo un lavoro che ha a che fare col tempo, e con la necessità di esprimersi in quanto artisti. Un lavoro non è bello-brutto, sarebbe troppo semplice.
Uno spettacolo, un progetto, il tuo processo, è importante che sia necessario. È importante (aggiungo -semplicemente- è bello) che si senta la necessità di quella strada presa. Poi cambierai continuamente direzione, ma stai andando verso qualcosa che senti davvero importante per te, un bisogno reale di espressione. Questo, ha a che fare col il processo artistico, il “risultato” (forse, e che cosa è un risultato?) alla fine in qualche modo ci sarà.
Questo riguarda il tempo dell’attore, la direzione che sceglie e che accade in quel momento, quando si incammina e prova ad essere presente in quel cammino, senza pensarci troppo, lasciandosi trasportare dalla corrente, ma non sentendo realmente quel che “gli sta” accadendo. Seguirà la sua necessità; e dopo, solo dopo, potrà guardarsi alle spalle, se vorrà, e rendersi conto di quanta (tanta) strada ha fatto.

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